In
realtà gli anni sarebbero di più, visto che la gara isolana è nata
nel febbraio del ’68, ma per varie vicissitudini, nel 2000 ha
festeggiato il 30° compleanno. Chissà se allora Dado Andreini, per
anni deus ex machina dell’organizzazione, aveva immaginato quali
traguardi avrebbe raggiunto la sua “creatura”, che già nel 1970
si fregiava della validità per la serie continentale. Forse mai si
sarebbe aspettato di vedere nobilitato l’albo d’oro del “suo”
rallye dai più bei nomi del rallismo italiano ed europeo, a
cominciare da Cavallari e proseguendo con Barbasio, Paganelli,
Trombotto, Warmboldt, Verini, Alen, Darniche, Vudafieri, Tony, Tabaton,
Cunico, Cerrato, ai quali vanno aggiunti tutti i grandi protagonisti
che hanno dato lustro all’elenco concorrenti delle varie edizioni.
Di
certo, Andreini, non aveva messo nel conto la possibilità che, un
giorno, il timone dell’Elba gli venisse sottratto, probabilmente per
strani giochi di potere, questioni “politiche” che si scontravano
col suo caratteraccio. Che avesse ragione o torto chi lo fece fuori
alla vigilia dell’edizione 1981 è questione nella quale non mi sento di entrare. Il dato certo è che,
dopo poco più di un anno, giunse per l’Elba il primo black out,
quello del 1983, al quale avrebbero fatto seguito quelli dell’87 e
del ’94. Ricordare tutti gli eventi che hanno portato la gara
isolana alla validità per il tricolore due ruote motrici e poi per la
Coppa Italia, passando anche per un esilio di due anni sulla
terraferma, sulle strade della vecchia Coppa Liburna, sarebbe troppo
lungo e andrebbe oltre l’intento di queste righe che è,
fondamentalmente, solo quello di riportare alla mente il passato di
una manifestazione tanto diversa da come è oggi, tanto da sembrare un
altro sport. Dal ’97 l’Elba è stata territorio di caccia
esclusivo di Renato Travaglia e della Peugeot, dominatori delle due
ruote motrici. Certo, vedere la gara che un tempo si decideva sulle
mitiche speciali della Segagnana, Falconaia, Castello, San Martino,
Calamita, ridotta ad un tutto asfalto da poco più di cento chilometri
di tratti cronometrati, da correre così, quasi tutti d’un fiato, al
decimo di secondo, non fa un bell’effetto, in particolare per chi,
per averli vissuti, sia pure solo da spettatore, i tempi d’oro li
ricorda bene. Oggi poi, con l’ulteriore declassamento a prova di
Coppa Italia, di quella gara che si era fatto un nome con la propria
selettività ed i sorprendenti elenchi concorrenti, resta solo un
ricordo, sempre vivo però, non certo sbiadito.
Così,
quando oggi ci ritroviamo col solito gruppo di amici, tutti che
veleggiamo più o meno intorno agli “anta”, se il discorso cade
sui rallies, finiamo inevitabilmente a rievocare l’Elba dei tempi
andati, quasi recitando la parte degli inguaribili nostalgici e
sembriamo fare il verso a quella canzone di Francesco Guccini, nella
quale il protagonista, simulando un dialogo, chiede alla sua ormai
immaginaria interlocutrice: “…ti ricordi quei giorni?…”
Già, ti ricordi quei giorni, quando, dalla
finestra della scuola elementare sulla collina
di San Rocco, vedevi la zona del porto e sentivi il rombo delle
auto del rallye che si avviavano alle verifiche e dicevi: “E’
l’HF, no è lo Spider, è l’Alpine…” Quando la sera al via,
guardavi le macchine lasciare il palco di partenza e attraverso il
lunotto , al chiarore della lampada legginote, intuivi la silhouette
dei due membri dell’equipaggio e ti sembrava che andassero verso
l’ignoto, verso un’affascinante avventura.
Ti ricordi quei giorni, quando lo speaker storico
della manifestazione, Mauro Cusmai, parlando delle massacranti
stradine elbane, le definiva, con espressione indovinata,
“lucertolaie” e raccontava dei guai patiti da quel certo
equipaggio, fermo in un punto del percorso
“… dove di notte non passano nemmeno i gatti…”. O
quando svelava le lacrime di gioia di Virgilio Conrero, felice per il
primo successo importante della Ascona 400 e del suo pupillo Cerrato,
senza immaginare che quelle lacrime, forse un po’ romanzate,
sarebbero diventate vere e amare poche ore dopo, al termine delle
verifiche tecniche.
Ti ricordi quei giorni, quando Warmboldt,
col Maggiolone, beffava tutti, sfilando dalle grinfie del
“Drago” una vittoria che pareva ormai certa, dopo che uno ad uno
si erano arresi prima Paganelli, poi Ballestrieri, quindi Pinto,
Trombotto, Pregliasco. Quando Cesare Fiorio, diesse Lancia, a fine
gara, diceva che gli dispiaceva di aver perso, perché se Munari
avesse vinto si sarebbe divertito a parlar male di quel folle rallye,
con quell’incredibile percorso scassamacchine, troppo all’antica e
fuori del tempo.
Ti ricordi quei giorni, quando
Blomqvist, con la Saab 96, s’infilava di traverso in quel vecchio
pontino con le spallette di ferro arrugginito, vicino al fine prova
del Monte San Martino e ci usciva anche di traverso e invece avresti
scommesso che lì una macchina potesse passare soltanto diritta, mai
in controsterzo. O quando Rohrl dimostrava di avere scarso feeling con
il Colle Reciso, ritirandosi proprio da quelle parti, sempre
all’ultima prova della prima tappa, una volta con l’Ascona del
“mago” Conrero e la seconda col Kadett dei Carenini.
Ti ricordi quei giorni, sulla prova del
Monumento, con quella tramontana che mugolava dentro la valle di
Caubbio, ruvida e gelida da togliere il pelo, che tanto a scaldarti ci
pensavano le evoluzioni delle debuttanti 131 Abarth di Verini,
Bacchelli e Alen, della Stratos Alitalia di Pregliasco, della Saab 99
del solito Blomqvist. Quando Alen, poco prima del via della seconda
nottata, minacciava: “…io notte attak…”. E davvero non
scherzava; per credere basta controllare i tempi delle speciali, con
quel mostruoso 7 minuti netti, tempo imposto sul Colle d’Orano; e
meno male che i nordici non sono asfaltisti.
Ti ricordi quei giorni, quando Darniche piegava
Verini, Pond sorprendeva, terzo con la Triumph, Blomqvist rimediava il
terzo ritiro consecutivo e il povero Bettega provava per la prima
volta gli sterrati elbani con l’A112. Quando Carello, con la Stratos
ufficiale, recuperava minuti a manciate, dopo un guasto, mentre
Wittmann chiudeva alla pari con Verini. O quando Coleman e Kleint
entusiasmavano tutti con i loro traversi; e Airikkala, impossibile
dimenticarsi del finnico che correva coi colori di Vatanen, alla fine
solo quarto, ma una guida così all’Elba non si era vista mai.
Quando le tribune naturali al tornantino di Rio Elba si riempivano
all’inverosimile, con un tifo quasi calcistico, da curva allo
stadio….
Meglio a questo punto interrompere il filo dei ricordi
e tornare al presente, rimettendo i piedi per terra perché, com’è
ovvio il passato non esiste più; però, peccato, era bello. Ed anche
se il mio amico Beppe, autentica memoria storica, rallisticamente
parlando, del nostro gruppo, negli ultimi anni ha spesso detto
scherzando (ma non troppo): “…andiamo sulla Segagnana, che tanto
quando passano dal Monumento, il rumore si sente e il resto è meglio
immaginarlo.”, poi però il rallye lo segue anche lui fino
all’ultima prova speciale, eccome se lo segue. Forse sono solo
cambiati i tempi, sono cambiate le macchine, i piloti e il modo di
intendere le corse su strada. Se Automobil Club e Scuderia Livorno
insisteranno a organizzarlo, continuerò anch'io a seguire il Rallye
dell'Elba come sempre, dall’inizio alla fine,
ma non credo che sia solo un effetto del “profumo del
ricordo” che, per dirla ancora con Guccini “cambia in meglio”, se
non posso fare a meno di pensare ancora a quella canzone che si
conclude così: “…io non credo davvero che quel tempo ritorni, ma
ricordo quei giorni…”.
Testo e foto di Carlo Locatelli
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